Bauhaus: la rivoluzione in mezzo a due guerre
Il 14 aprile la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen lancia personalmente il progetto New Eruopean Bauhaus. Un’ iniziativa di lungo periodo che intende “progettare nuovi modi di vivere nelle città e nei territori del futuro, ragionando sulla possibilità di coniugare sostenibilità, inclusività e bellezza”. Sono state proprio queste le parole utilizzate dalla von der Leyen. Lo stesso giorno Venezia si candida ad ospitare la sede del progetto, e lo fa per mezzo delle massime autorità: l’assessore comunale al Patrimonio, Promozione del territorio e Rapporti con le Università, Paola Mar, l’assessore regionale all’Istruzione, Formazione, Lavoro e Pari opportunità, Elena Donazzan, la rettrice dell’Università Ca’ Foscari Venezia, Tiziana Lippiello, il rettore dell’Università Iuav di Venezia, Alberto Ferlenga.
Il giorno prima, è stato dato alle stampe, con gioco di contropiede che avrebbe fatto la gioia del grande Nereo Rocco, la seconda edizione de “I Meli gemelli fanno Bauhaus” di Paolo Latini. Un romanzo segnalato dal Premio Calvino nel quale si scava e ci si interroga sulla imprescindibile eredità regalata dal Bauhaus alla storia del ventesimo secolo (e forse ancora di più a quella del ventunesimo).
Il mondo che conosciamo oggi è quasi del tutto figlio di questo progetto utopico e visionario, durato pochissimo ma talmente dirompente e geniale da funzionare, oggi come allora, da grimaldello per la lettura dei tempi.
Non faremo qui la storia, del Bauhaus, per quello vi consiglio la lettura dell’ottimo “Bauhaus” di Magdalena Droste, Taschen editore. Può essere invece interessante sapere perché, a distanza di più di un secolo, la massima autorità Europea e tra le più importanti al mondo, senta la necessità di replicare quell’esperienza.
E allora diciamo che quando, nel 1919, l’architetto Walter Adolph Gropius fonda il Bauhaus a Weimar, il suo obiettivo dichiarato era quello di fondere il lavoro manuale e quello intellettuale in un'unica attività creativa e produttiva. Questo, nel suo progetto avrebbe dovuto “appianare le differenze di classe e avvicinare l’arte al popolo”. Artisti e artigiani, diventati così indistinguibili, avrebbero creato una nuova figura. L’esperimento è riuscito talmente bene che oggi il Bauhaus e il suo fondatore sono riconosciuti universalmente come i creatori del concetto di design. Naturalmente all’epoca Gropius non lo chiamava così, ma piuttosto “Disegno creativo-industriale”, che in effetti è la stessa cosa.
All’interno di questa scuola si faceva ricerca, innovazione ma anche vera e propria produzione e proprio in quel luogo speciale è nata la modernità nel senso più ampio del termine. Dalla ricerca condotta dal Bauhaus, ad esempio, è nato l’uso del plexiglass e del metallo strutturale. Senza di loro e le loro sperimentazioni, i grattacieli odierni con facciate a vetro e struttura in acciaio non esisterebbero.
Le nostre case, i nostri appartamenti, sono ancora oggi quasi del tutto frutto dei loro studi. Le misure standard di porte e finestre e gli studi ergonomici per i mobili sono altre due invenzioni per le quali ringraziare Gropius e soci. Ma c’è molto, molto di più, come ad esempio la cucina componibile (prima inesistente) o l’eliminazione del corridoio negli appartamenti e persino gli elettrodomestici sono stati concepiti nel Bauhaus. Così come le tapparelle al posto degli scuri in legno e anche la stanza dei giochi per i bambini. Tutto questo venne presentato in un’abitazione prototipo nota con il nome di Am Horn e presentata alla Mostra del Bauhaus nel 1923, quindi appena 4 anni dopo la sua fondazione.
Le innovazioni in campo sociale però furono addirittura più impattanti nel futuro che oggi viviamo. Già nel primo anno di vita, il 50% degli iscritti erano di sesso femminile ed erano impiegate in ruoli sia di vertice (docenti) sia di responsabilità (capo progetto, capo produzione, designer) oltreché di alunne naturalmente. Per avere un paragone della emancipazione attuata a Weimar, è utile ricordare che nel nostro paese, l’Italia, le nostre donne acquisiranno il diritto di voto solo nel 1945, ovvero 26 anni più tardi. Tra le artiste che hanno studiato e lavorato al Bauhaus è necessario ricordare Marianne Brandt, l’architetto che ha rotto ogni paradigma estetico prima esistente, talmente determinata, creativa e geniale che le sue opere ancora oggi sono di un’attualità e di una bellezza assoluta. Dirò solo del servizio da té MT49 del 1929, che nel 2029 sarà ancora portatore del design più ardito e innovativo mai pensato.
Ma al Bauhaus vi era nello stesso periodo anche Gunta Stolzl, che con i suoi tessuti ha creato tutto quello che, dagli anni ’60 in poi, Missoni e ogni suo epigono hanno utilizzato per concepire “la moda”. E che dire di Benita Koch Otte che oltre ad essere stata una tessitrice di fama mondiale, come designer ha concepito, creato e progettato la prima cucina componibile! Tra gli insegnanti femminili spiccano poi Gertrud Grunow, cantante, pianista e pittrice, a cui mostri sacri dell’arte come Paul Klee e Vasilij Kandinskij devono molto e che non nascondono di essersene ispirati per i loro capolavori. La lunga lista potrebbe continuare con Lucia Moholy (moglie del pittore László Moholy-Nagy), riscoperta di recente e definita la più geniale fotografa di sempre. E poi la mia preferita in assoluto, la designer Alma Buscher, che tra le decine di sue invenzioni spiccano l’armadio multifunzionale (tutt’oggi in uso da tutti noi) e una serie di giochi che oggi chiamiamo “intelligenti”. Uno di questi è, ancora di questi tempi, un bestseller e chi vi scrive da fanciullo vi ha giocato e così i suoi figli (e suppongo che la tradizione non si interromperà). Sto parlando del “gioco delle costruzioni” a cui il Meccano e la Lego devono tutto! La Lego, infatti, iniziò la produzione dei mattoncini nel 1949, mentre il primo gioco di costruzioni con parti geometriche in legno della Buscher fu del 1923. Inoltre, i mattoncini della lego, per decenni, sono stati tutti della stessa forma (parallelepipedo) mentre quelli concepiti da Alma Buscher rappresentavano tutte le forme geometriche basilari, quindi estremamente più stimolanti, sofisticati ed educativi.
Ma se si parla di docenti e già la rappresentanza femminile vi ha esterrefatto, beh, quella maschile è altrettanto prestigiosa. Oltre al già citato Gropius (che del Bauhaus ne è anche il fondatore) salirono in cattedra a Weimar artisti del calibro di Kandisky, Klee, Nagy, Itten, Muche, in quali svilupparono un originale metodo pedagogico. Johannes Itten ad esempio, pittore, designer, scrittore e filosofo, proponeva un approccio che mediava tra l’intuizione e il metodo, mentre Kandisksy lavorava sfruttando la logica per superare la scienza materica e raggiungere la scienza spirituale. Arrivò così a determinare che ogni colore possiede un peso specifico (il blu pesa più del rosso ed il rosso più del giallo) così come ogni forma vuole il suo colore (il cerchio è blu, il quadrato rosso e il triangolo giallo). Anni dopo, la scienza ufficiale scopriva le frequenze e l’energia, determinando che il geniale artista e pensatore aveva perfettamente ragione.
Il mondo, insomma è debitore al Bauhaus di quasi tutto, compreso la sedia di Marcel Breuer, sulla quali tutti noi (e più di una volta, sono pronto a scommetterci) ci siamo seduti godendo della sua eleganza e della grande comodità.
La grande maggioranza degli alunni, inoltre proveniva dalle classi meno abbienti e non poteva certo permettersi la retta di quella scuola di elité, ecco perché Gropius si affannò per tutta la vita in cerca di sponsorizzazioni e, quando non riusciva a trovarle, cercava di ottenere commesse di produzione per gli oggetti ideati all’interno della scuola. Quando anche queste scarseggiavano recuperava commesse di progetti architettonici con le quali avrebbe poi sovvenzionato il Bauhaus. In questa sua estenuante attività di promozione trovò moti, prestigiosi e affezionati alleati tra i quali merita sicuramente citazione il grande fisico premio Nobel Albert Einstein, il quale fu membro del gruppo “Amici del Bauhaus” per tutta la vita.
Tutto questo avveniva nel periodo di massima espansione del fascismo e della rapida crescita del nazismo, che infatti chiuderà forzatamente questa esperienza nel 1933 (l’anno dell’ascesa al potere di Hitler). Una vicenda unica nel suo genere, che ha saputo emancipare semianalfabeti ed emarginati, fino a farli diventare geni, eroi ed artisti con un unico semplice gesto. Un ideale che, se perseguito, avrebbe fatto crescere la nostra civiltà con grandi e veloci spinte in avanti, evolvendo così anche la nostra percezione della realtà. Le due guerre invece hanno azzerato quasi tutto.
Il Bauhaus, insomma, ci racconta la storia di una rivoluzione in mezzo a due grandi guerre. Soprattutto nel nostro paese non è affatto chiara la distinzione tra questi due concetti. Allora diciamo che la guerra ha come obiettivo quello di conquistare il potere e sconfiggere il nemico, mentre la rivoluzione ha l’obiettivo di conquistare più libertà e più verità e questa è una vittoria senza perdenti. La guerra è un atto contro qualcosa, invece la rivoluzione è un atto di ascolto che vuole assecondare un grido di aiuto. Le uniche vittime della rivoluzione sono gli ottusi, i pigri e le persone autoritarie senza autorevolezza. Ma per questo si può parlare più di suicidio che di omicidio.
Ecco perché riprendere il Bauhaus è un’ottima idea. Buona lettura.