E’ fin troppo facile dimostrare come la democrazia e lo stato di diritto siano stati un’anomalia del sistema (uso di proposito una declinazione al passato). Ad analizzare lo stato di fatto e a lanciare l’allarme sono economisti, storici, giuristi, ricercatori e docenti universitari.
In che modo la situazione si sia oggi ripiegata, annullando più di due secoli di guerre, lotte e battaglie è così evidente che le uniche due vere domande da porci sono:
1) Ma come abbiamo fatto a non accorgercene?
2) Perché non abbiamo reagito e non stiamo ancora reagendo per impedire la restaurazione?
L’antologia di studi in proposito è talmente vasta che, per avvalorare la tesi, sarà sufficiente citare i fatti.
Se volessimo fare un conto esatto di quanti anni è durata veramente la “libertà e la dignità” di ogni essere umano nel nostro paese, il risultato sarebbe sconfortante. La data di inizio in Italia è il 1948, quando in due articoli della costituzione si piantano un paio di paletti allo strapotere delle élite dominanti. Limitazioni, si badi bene, che mai avrebbero digerito. Nell’art. 3 si stabilisce che devono essere rimossi tutti gli ostacoli di ordine economico(ripeto: economico, non politico o sociale… economico) che possano limitare il pieno sviluppo della persona umana. Questo significa che i padri costituenti avevano capito che né gli intellettuali, né i politici e nemmeno i militari con i suoi dittatori avrebbero potuto contrastare il vero unico potere: quello dei soldi.
Purtroppo però la storia dimostra che ad averlo capito sono stati solo loro. Chiunque sia venuto dopo, invece, ha operato nell’esatto modo contrario.
Il secondo articolo, il n.41, rincarava addirittura la dose. Scrivo “rincarava” anche se quell’articolo e in generale la Costituzione sia ufficialmente ancora adottata. Ma tra poco vedremo come invece sia, di fatto, ormai solo un feticcio pari a lettera morta. Dicevo che nell’articolo 41 della costituzione si avvertono le lobby economiche che (attenzione al passaggio):“L'iniziativa economica privata è libera. Ma non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”.
Per qualche anno questo caposaldo giuridico è stato preso seriamente e sapete una cosa? I suoi effetti sono stati miracolosi. Non è infatti un caso che proprio dal dopoguerra alla fine degli anni sessata (quando cioè vedremo è cominciata la controffensiva dei potenti) si parli di miracolo economico.
Un poderoso studio del brillante economista francese Thomas Piketty dal titolo “Il capitale del XXI secolo” ha dato conto di come, grazie a questi rivolgimenti sociali in tutta Europa, la distribuzione della ricchezza sia stata significativamente modificata a vantaggio della popolazione svantaggiata. E’ stato in questo periodo che la classe media ha davvero allargato i suoi confini. Fino alla seconda guerra mondiale il 10% della popolazione deteneva il 90% della ricchezza. Alla fine degli anni 60 quello stesso 10% della popolazione deteneva “solo” il 60% del patrimonio nazionale, mentre un altro 40% di noi possedeva il 30% della ricchezza. Uno stravolgimento epocale che i nostri padri e nonni ancora se lo ricordano. L’unica nota stonata era il non trascurabile dato che una fetta pari a metà della popolazione era ancora in situazione di povertà.
Come dicevo, dalla fine degli anni ’60 i rapporti di forza cominciano (ma sarebbe più corretto dire “ricominciano”) ad invertirsi. Per tutti gli anni ’70 la strategia del terrore incrina i rapporti tra gli imprenditori e i lavoratori (in Italia, in entrambe le categorie, quasi tutti appartenevano alla classe media. Eccetto gli Agnelli di cui mi sono già occupato e ritornerò a farlo), tra i cittadini e i politici e anche tra la popolazione e le forze dell’ordine/militari (Golpe De Martino e Golpe Borghese, per non dire dei difficili rapporti tra manifestanti e polizia). Oggi sappiamo che dietro tutti gli attentati, le stragi, le sparatorie, i dirottamenti, le esecuzioni, i rapimenti c’erano i servizi segreti italiani ed esteri, la cui regia è tuttora (in parte) occulta.
Dopo un decennio di disordini e violenza, con gli anni ’80 si apre una nuova stagione di (apparente) benessere e boom economico. Ed è proprio in quel momento che avviene il capolavoro dei veri capitalisti. Margaret Thacher in Inghilterra inveisce per un decennio contro le classi meno agiate attuando una serie di deregulation a favore del settore finanziario (guarda caso) e indulgendo alle richieste delle corporation per una maggiore flessibilità del lavoro e una minore tutela dei lavoratori. Di questo periodo sono i famosi scioperi dei minatori raccontati da film, canzoni e romanzi. Dall’altra parte dell’Oceano, Ronald Reagan è il perfetto clone della medesima politica. Nel 1985, con la scusa di una maggiore semplificazione del sistema fiscale, dimezza le tasse alla fascia più ricca della popolazione (si passò dal 50% di ritenuta al 28%). Non pago mise mano anche alla privatizzazione dell’assistenza sanitaria, originando due fenomeni uguali e contrari: da un lato le grandi Bighpharma e le grandi compagnie assicurative si sono enormemente arricchite, mentre dall’altro la soglia di accesso alle cure si è molto alzata, impedendo alle fasce più fragili della popolazione di accedervi. Reagan sarà invece ricordato per il boom finanziario che queste e altre manovre hanno originato. E’ il periodo degli Yuppies e dei brokers di borsa miliardari, delle agenzie di pubblicità, delle riviste patinate e dei grandi stilisti di moda. Tutte cose per ricchissimi insomma. In Italia non siamo da meno. Nel 1981 inizia un percorso che venti anni dopo porterà ad un illegittimo, sperequativo e disastroso cambio di valuta. In quell’anno avviene infatti il divorzio tra Banca d’Italia e Ministero del Tesoro. E’ interessante notare che all’epoca il governatore della Banca d’Italia era tale Azelio Ciampi. Lo stesso uomo che, da Presidente della Repubblica, ha battezzato la conversione della lira in Euro. Ma tranquilli è solo una curiosa fatalità.
Non è affatto una fatalità invece, che questo cambio di paradigma non avvenne per legge. Non avvenne nemmeno per decreto legge e nemmeno per DPCM. Avvenne e basta. In parlamento non se ne discusse e nei giornali se ne parlò semplicemente in termini di dato di fatto. Come riportato in un documento compilato dall’Osservatorio Conti Pubblici Italiani, nel febbraio di quel 1981 non successe in effetti quasi nulla. Solo uno scambio di lettere tra l’allora Ministro del Tesoro Beniamino Andreatta e l’allora governatore della Banca d’Italia Azelio Ciampi. Un Divorzio che per altro rimarrà incompleto (come è prassi in Italia) e che, oltre a far perdere la sovranità monetaria al nostro paese, creerà anche ulteriori danni in virtù della situazione ibrida creatasi in ragione della mancata ufficializzazione della cessione.
La mia teoria su questo punto è che non sia stata formalizzata con la normale prassi parlamentare per la ragione che, altrimenti, il divorzio non sarebbe mai avvenuto. In questo modo quindi anche se di fatto è successo, nessuno potrà mai affermarlo. Sempre a mio parere, questa operazione è la cosa più vicina ad un atto criminale nei confronti del popolo italiano che mi possa venire in mente. Ricordo per i più distratti che la Banca d’Italia non è un organismo pubblico, ma una società privata in mano a privati. E fu lei a cedere alla Unione Europa la “nostra” Lira, con un atto a tutti gli effetti illegittimo. E’ del tutto superfluo ricordarvi che l’Italia è una repubblica parlamentare, non presidenziale, di conseguenza ogni atto del governo deve (sottolineo deve) passare per il parlamento, che è l’unico organo autorizzato a decidere su temi come questo.
Fu quello uno dei primi atti strategici che non passò per il parlamento e che cambiò per sempre il nostro assetto sociale ed economico, intaccando direttamente la nostra libertà. Nel corso del tempo, in tappe successive, si arrivò a rendere la democrazia superflua. E’ in questo modo che arriviamo fino ad oggi, con il nostro destino e le nostre libertà legate a DPCM illegittimi scritti da non eletti.
Una condizione che Lidia Undinemi (una nota consulente in grandi vertenze a favore dei lavoratori) definisce nel suo libro “Il ricatto dei mercati” come “una costruzione artificiale della realtà, per far andare a regime un sistema di regole orientato a trasformare la finanza da potere di mercato in potere istituzionale, riducendo al minimo la rappresentanza popolare.”
In tutto questo scenario ci sarebbero però quei due articoli della Costituzione citati in apertura che sarebbero d’intralcio. Invece non lo sono più da quasi dieci anni. Nel 2011 una lettera inviata dalla Commissione Europea (che detiene attraverso la BCE la valuta sovrana in quasi tutta Europa) invita Berlusconi a farsi da parte. In fondo quell’ometto era stato eletto solo dagli Italiani e noi adesso siamo Europa! Quella lettera è il prologo di una lunga vicissitudine che, da allora, ci affligge e che ha visto salire a Palazzo Chigi solo non votati. Ma il vero guaio accade circa un anno dopo, quando una seconda lettera della UE ci obbliga a cambiare la Costituzione, perché così come l’abbiamo scritta noi alla Merkel non piace. Ecco quindi che dall’8 maggio 2012 siamo inopinatamente costretti al pareggio di bilancio. Si noti, su questo punto, che lo stato non è una Corporation americana quotata in borsa e pertanto le regole aziendali di profitto non valgono anche per gli stati, come invece molti vorrebbero farci credere. Difatti, le conseguenze di questa modifica alla nostra Carta sono state drammatiche.
L’adozione della moneta unica a cambio fisso e l’obbligo del pareggio di bilancio in paesi caratterizzati da profonde asimmetrie dei rispettivi sistemi economici hanno creato uno squilibrio permanente in termini di import/export che ha permesso ai paesi egemoni (Germania n.d.r.) di investire il loro surplus commerciale per concedere credito per l’acquisto dei loro beni ai paesi più in difficoltà come Italia e Grecia ad esempio. In questo modo questi paesi avrebbero guadagnato due volte, prima con la vendita dei beni e poi con gli interessi sul credito. Il colpo finale a questo perverso progetto studiato a tavolino dal dopoguerra, arriva quasi contemporaneamente all’intervento della UE a gamba tesa nella nostra costituzione.
Nel 2010 la Grecia si è vista scaricare addosso le conseguenze di questo meccanismo di doping economico. A quel punto infatti, la UE ha pensato di reintrodurre il vecchio, obsoleto e ostracizzato concetto di nazione, per ribaltare sulla Grecia il passivo che invece si era creato in seno alla UE (non in seno alla Grecia), per effetto di una dinamica malata in partenza e non per colpa di un governo greco incapace e corrotto come la narrativa ufficiale ha provato a raccontare. Ci siamo trovati di fronte, invece, alla più classica delle logiche di privatizzazione dei profitti (a favore delle multinazionali tedesche) e socializzazione delle perdite.
A adesso chiedetevi come mai in Italia ci sia al capo del governo un ex governatore della Banca d’Italia ed ex governatore della Banca Centrale Europea…