Tutti conoscono il Barone Rosso, il più famoso e spietato pilota della prima guerra mondiale.
I dati ufficiali dicono che abbatté 80 aerei, sei solo nel primo mese di guerra. La leggenda vuole che dopo solo 24 ore di addestramento volasse già da solo in missione e a volte compisse anche 4 missioni in un giorno. Nel solo mese di aprile del 1917 distrusse 22 aerei inglesi. Con una spavalderia che lo rese immortale e contrariamente a quanto si dovrebbe fare, egli dipinse il proprio aero di rosso, per farsi meglio notare. Noi invece oggi notiamo come tutte le aviazioni del mondo, spendano milioni, chissà forse miliardi, per rendere invisibili i propri aerei. Il Barone Rosso era un impavido. Come una macchia di sangue rosso nel bianco delle nuvole, che nel suo immaginario era il grembiule del macellaio.
Per ogni aereo abbattuto ordinava ad un noto gioielliere di Berlino un trofeo. Quando arrivò a sessanta l’argento tedesco era finito a causa della guerra. Allora smise di collezionarli, piuttosto che accumulare coppe di materiale non nobile quanto le sue gesta, preferì privarsene.
Da allora sono stati scritti su di lui centinaia di libri in almeno 40 lingue, ci sono pizze surgelate con il suo nome, simulatori di volo con il suo aereo e ovviamente la citazione dei Peanuts e le divertenti battaglie immaginarie tra snoopy e il leggendario top gun. Attualmente è il pilota della prima guerra mondiale più ricordato e più cliccato su Google.
Nonostante fosse responsabile di solo 1,6% di tutti gli aerei abbattuti dai tedeschi (5.050 in totale) il suo nome compare nel 27% delle ricerche sul tema. Questo parrebbe confermare la teoria popolare che le prestazioni conducono alla fama e al successo ed in ultima analisi, all’autorealizzazione.
Tutto giusto, se non fosse per quel René Fonk che, improvvido come un acquazzone quando gli sposi escono dalla chiesa, con il suo curricullum ci costringe a rivedere tutto da capo. Se anche voi, come me, non avete mai sentito il nome di René Fonk prima d’ora, è probabile che troverete questo articolo utile e suppongo anche diventerà necessario ripensare alla validità degli insegnamenti dei saggi. Sapete, quelli che ti dicono che se dai il 110%, se riesci ad essere veramente stesso e non molli mai, alla fine otterrai ciò che vuoi veramente. State per appurare che non è proprio così.
René Fonk è stato uno straordinario pilota francese che ha combattuto nello stesso scenario di guerra del Barone Rosso (al secolo Manfred Albrecht von Richthofen) e al quale sono accreditati 127 abbattimenti (75 confermati ufficialmente, anche se una buona parte degli storici è ormai propenso a ritenere più probabile una cifra che si aggiri tra i 120 e i 130). A detta dei testimoni ed anche degli esperti di battaglie aree, Fonk era tecnicamente molto superiore al tedesco. Eccelleva ad esempio nelle manovre di disimpegno dal fuoco nemico. Le sue evoluzioni erano così eleganti ed efficaci che i tedeschi lo avevano soprannominato “La farfalla dei cieli”. In tre anni di guerra Fonk non perse nemmeno un duello, mentre il Barone Rosso fu sconfitto tre volte e nell’ultimo scontro perse anche la vita. L’aero di Fonk, invece, non fu mai nemmeno colpito e tanta era la sua abilità che, più di qualche volta, egli fu l’unico sopravvissuto della sua squadriglia. Per fare questo aveva studiato una tattica che gli permetteva di attaccare il nemico anche quando egli era in ritirata, facendo calcoli molto precisi e immediati circa l’autonomia, la velocità e le manovre che gli avrebbero garantito il successo. Tra i suoi notevoli primati egli poté vantare sei abbattimenti in un solo giorno e quattro in appena dieci secondi di battaglia (record assoluto e imbattuto). All’opposto, von Richthofen era invece noto per le sue brutali ed improvvide scorribande, volando radente sopra le trincee nemiche per tempestarle di proiettili. Azioni che Fonk detestava, preferendo il confronto con piloti suoi pari e senza lo spargimento di sangue non necessario. Che il Barone Rosso fosse anche piuttosto gretto lo si evince facilmente leggendo la sua autobiografia (un bestseller ancora oggi, pubblicato in decine di edizioni e in decine di lingue), nella quale in più punti si compiace dei macelli compiuti ai danni di poveri soldati impantanati fino alle ginocchia nelle trincee, bloccati dal filo spinato e armati di schioppetti risibili.
Se invece si legge l’autobiografia di Fonk… ah già… la sua autobiografia… è introvabile! e lui praticamente sconosciuto, dimenticato dalla storia.
Ora però uno scienziato transilvano naturalizzato americano pare abbia scoperto perché. In particolare Alber Laszlò Barabási, (così si chiama il direttore del Center for Complex Network Research della Northeastern University) ha cercato se dietro il successo (o se preferite la fama, la ricchezza, il potere o la felicità) vi fossero delle leggi che lo regolassero. Qualcosa che, se seguito puntigliosamente, portasse i risultati a cui noi aspiriamo. La buona notizia è che queste leggi esistono. La cattiva è che, quasi mai, il talento, l’impegno e gli ottimi risultati sono sufficienti. Non è finita, perché oltre alla cattiva notizia, ce ne sarebbe anche una cattivissima: Alle volte il talento, l’impegno e i risultati, oltre a non essere sufficienti, sono anche inutili. E se per caso foste sfiorati dal dubbio che quello di Fonk sia un caso sporadico, se non addirittura un’eccezione; se ancora vi illudete che un buon lavoro, una dedizione assoluta e le indubbie capacità di ciascuno possano comunque portare a qualcosa di buono, mi duole farvi sapere che la lista dei “Fonk” di ogni tempo e ogni luogo è lunga come la fila davanti ad un centro vaccini. Solo qualche esempio per dimostrare, oltre alla bontà della tesi di Barabási, anche quanto poco affidabile sia la storia che ci raccontano nei libri, a scuola (dove dobbiamo addirittura imparare a memoria date e avvenimenti che “memorabili” non lo sono affatto), nei documentari e naturalmente nella retorica politica.
Secondo i testi scolastici di tutto il mondo, il primo volo e di conseguenza il primo aereo, ce lo hanno regalato i fratelli Wright. La verità, invece, è che nove mesi prima in Nuova Zelanda, Richard Pearse fece la stessa cosa ma molto meglio. Il suo aereo, infatti, era concettualmente molto più moderno, perché dotato di alette alari, elevatore posteriore, carrello a triciclo con ruote orientabili e pale delle eliche a passo variabile. Il fatto che i due fratelli Wright fossero dichiaratamente massoni, naturalmente, non ha nulla a che fare con l’indebita fama che si sono procurati con l’appropriazione indebita.
Se chiedete a persone ben informate, o consultate un’enciclopedia, apprendereste che la lampadina è stata attribuita a Thomas Edison (massone anch’egli), quando invece lo storico americano Eric Goldschein ha dimostrato e documentato nel suo “>Nine inventors who’ve been wrongly credited” che quella della lampadina, come molte altre invenzioni accreditate ad Edison, furono in realtà scippate con l’inganno da altre menti (tra cui quella dell’immenso Tesla). Potrei continuare parlandovi di Claudette Colvin, la conoscente? Ne dubito. Probabilmente però avete sentito parlare di Rosa Parks, la donna afroamericana che nel 1955 si rifiuto di cedere il posto in autobus ad un uomo bianco e che diede inizio ad una lotta per la parità dei diritti che, di fatto, ancora oggi sta incendiando gli USA. Bene, all’inizio dello stesso anno, nella stessa città, una sedicenne afroamericana, anch’ella attivista per i diritti degli afroamericani di nome appunto Claudette Colvin, compì lo stesso gesto. Il risultato in quel caso, però, fu l’arresto ed il processo, naturalmente terminato con una condanna, poi in parte mitigata in appello, ma pur sempre condannata.
Ora che siamo tutti convinti che il coraggio, la determinazione, l’intelligenza contano poco, possiamo provare a capire cosa si debba ricercare per raggiungere i nostri obiettivi. Anche perché, come ho già accennato, alle volte queste doti sono addirittura inutili. Se René Fonk è un esempio di talento non riconosciuto, Monica Lewinsky invece è il suo opposto: un esempio innegabile di fama e successo senza prestazioni evidenti (avrei voluto portare l’esempio della Ferragni, ma poi qualche amico avrebbe potuto inalberarsi ndr.) Per farvi capire quanto è evidente questo fenomeno vi devo presentare il Pantheon Project, uno strumento online creato da un docente del Media Lab del MIT (Massachusetts Institute of Technology) di nome César Hidalgo per valutare la fama di una persona. Sul sito potete sapere chi è stata la persona più famosa nata, ad esempio, nel 1546 o quella più famosa nata a Barcellona (che per la cronaca è Joan Mirò) o il più famoso musicista di tutti i tempi ecc. Magari potrà interessarvi sapere che la persona più famosa di tutti i tempi è Maometto e che Gesù è solo al 12 posto (appena sopra Adolf Hitler e sotto a Platone…). Tutto questo per dirvi che nella speciale classifica delle celebrità più famose americane di tutti i tempi, Monica Lewinsky con il suo “niente sottovuoto spinto” è al sesto posto assoluto. Sotto di lei ci sono figure come Peggy Guggenheim, ma mi consolo perché, giusto sopra di lei, possiamo trovare il grandissimo Buffalo Bill. Se questa cosa vi disturba (parlo di Fonk naturalmente, non di Maometto o della Lewinski), spero troverete consolazione nella prima e nella seconda legge del successo individuata da Barabási.
La prima è questa:
Il successo e la fama sono due animali molto diversi:
Il successo è quando si ottiene un ottimo risultato nel proprio campo (o settore) e gli appartenenti all’ambiente lo riconosco. La fama invece è quando il riconoscimento del proprio lavoro (o talento) sono riconosciuti al di fuori del proprio ambiente specifico. L’esempio più tipico è quello di Einstein. Tutti sanno che è un genio, ma pochi comprendono fino in fondo il valore delle sue scoperte. Quando si passa dalla fase di successo a quella di fama, si perde il controllo della propria figura e la si trasferisce a sconosciuti della cui competenza e buona fede non si può esserne certi. Gestire la fama è una competenza che pochi sanno padroneggiare e anche quando questo avviene, in genere è per poco tempo. In prospettiva storica, la fama è più pericolosa che vantaggiosa.
Il successo invece è più gestibile, tuttavia ottenerlo è ancora più difficile della fama. Ecco quindi la seconda regola:
Il successo non ha a che fare con voi e con le vostre prestazioni. Ha a che fare con noi e con il nostro modo di percepire le vostre prestazioni.
Certamente risolvere il problema della congettura di Hodge o brevettare una tecnica per la raccolta delle microplastiche nel terreno è una buona base di partenza per ottenere successo. Ma quello che conta veramente è il valore che la comunità darà al vs. contributo. Di più ancora, conta se la comunità verrà a sapere che siete voi il meritevole autore di quella scoperta. Ed è esattamente su questi due aspetti che si deve concentrare chi aspira al successo. Vi è infine il terzo elemento: dopo il riconoscimento e l’utilità, dovrete avere cura del fattore “Carro da parata”. Quando si è abili nel far sapere di essere prossimi al successo grazie alle vostre abilità, le persone insisteranno per salire sul carro del vincitore e godere insieme a voi degli esiti del successo. Si creerà così una corte di sostenitori (oggi li chiamano Ambassador) che contribuiranno in modo determinante alla costruzione del vostro successo.
Parliamo quindi di una misura collettiva che valuta le reazioni delle persone e noi, a nostra volta, dovremmo studiare la nostra comunità ed esaminare la reazione ai contributi che noi gli offriamo. Cinicamente, questo è quello che fa il marketing da una sessantina d’anni e, se esaminato da questo punto di vista, diventa anche una nobile disciplina. L’umanità è piena di artisti, geni e pensatori che hanno offerto contributi che sarebbero stati essenziali… se solo non fossero stati ignorati o non compresi o non apprezzati ed è bene prendere consapevolezza del fatto che a perderci di più siamo stati noi, non loro.
Il successo quindi si configura più come un fenomeno collettivo che individuale ed è proprio per questo frazionamento della responsabilità, nel quale ciascuno di noi concede a qualcun’altro lo status di “persona utile alla società”, che la sua dinamica è complessa e spesso poco prevedibile. L’aspetto interessante di questa considerazione è che gli uomini che noi definiamo famosi, potenti e di successo e ai quali le persone tendono a rivolgersi con atteggiamenti più o meno questuanti, in realtà sono potenti e di successo grazie a noi, che paradossalmente abbiamo una percezione uguale ma contraria.