In una crisi di grande portata, specialmente nei casi in cui il fattore tempo diventa discriminante, le competenze indispensabili sono di due tipi: gli esperti del settore oggetto della crisi (ad esempio i virologi nel caso del Covid o gli economisti nel caso di crisi finanziarie) e gli esperti della comunicazione. Questi ultimi hanno il fondamentale compito di convincere la gente ad agire (o non agire) secondo le prescrizioni degli esperti.
Per indurre le persone a comportamenti che modificheranno anche radicalmente le proprie abitudini, oggi si sfruttano tecniche piuttosto sofisticate riconducibili a discipline come il neuromarketing, la programmazione neurolinguistica, le scienze cognitive e l’economia comportamentale.
Tutte pratiche sulle quali l’etica si è troppo poco interrogata. Le perplessità circa la reale libertà di scelta delle persone sottoposte a questi profondi condizionamenti mentali è paragonabile alla tanto esecrata pubblicità subliminale (che sfrutta le stesse dinamiche) che non a caso è proibita in tutto il pianeta (formalmente).
Quello che però stupisce, se si osservano gli eventi degli ultimi mesi, è come queste tecniche di plagio collettivo (perché in effetti questo sono, ancorché ufficialmente per il nostro bene) siano state soppiantate da due conoscenze molto più antiche che, lavorando in coppia, risultano evidentemente ancora più incisive.
Queste sono la paura e l’antilogia.
A proposito della paura e della sua spropositata capacità inibitoria, ho già trattato il tema in questo articolo che vi invito eventualmente a rileggere.
L’antilogia invece, è forse uno dei saperi più ignorati del nostro tempo, di sicuro tra i più sottovalutati dalla maggioranza delle persone e purtroppo tra i più insidiosi mai sviluppati dall’essere umano.
Cominciamo con il dire che l’antilogia è una figura retorica ideata in Grecia dai sofisti più di 2.500 anni fa. Il suo obiettivo dichiarato era (ed è tuttora) confondere e disorientare gli ascoltatori, per poi dividere la pubblica opinione. Vi risulta familiare?
Se esaminiamo l’etimologia del termine, l’obiettivo dell’antilogia diventa ancora più chiaro. Esso è formato dai due termini: ante e logos. Ante è un suffisso di origine greca che significa “l’opposto”, “l’oppositore” “il nemico”, “l’avversario” (es: o antieroe), ma anche eliminazione e contrasto (es: antiruggine).
Logos invece, è un termine sempre greco ma di difficile traduzione. Per semplificazione potremmo dire significhi pensiero, discorso meditato…
Antilogia quindi significa discorsi meditati in contrasto tra loro. Ovvero la formula perfetta per disorientare, impaurire e dividere le persone.
Nell’epoca in cui Atene brillava di luce propria, illuminando tutto il mondo conosciuto, si tenevano veri e propri tornei di antilogia. Essi affrontavano in genere discorsi spinosi di attualità ed il loro scopo era duplice: da una parte offrire riflessioni sul tema osservandolo da diversi punti di vista antitetici tra loro, così che la gente avesse una panoramica la più completa possibile; dall’altra offriva ai retori, ai filosofi e ai politici un proscenio sul quale esibire la propria abilità oratoria. Non dimentichiamoci che i retori all’epoca erano delle vere star dell’Acropoli, un po’ come adesso lo sono per noi gli influencer su Instagram (sigh).
Se però l’antilogia viene versata su masse di persone impreparate e magari già impaurite (si legga sopra), l’esito di questa pratica è ben diverso e assolutamente più pernicioso.
Un caso clamoroso in questo senso, che purtroppo non ci ha insegnato nulla a noi popolino, avvenne proprio a Roma, agli albori dei suoi fasti.
Due famosi e celebrati retori greci, attirati a Roma dalla nomea che si andava facendo la città eterna, cercarono fortuna con il loro equivoco talento. Si recarono quindi nel foro romano e si esibirono in un duello di antilogia. Il pubblico romano, allora ancora piuttosto gretto e principalmente costituito da agricoltori, piccoli commercianti, artigiani e militari (quindi ben distanti dai sofisticati gusti intellettuali dei greci di allora) ascoltò con un certo interesse la prima parte del discorso del primo retore (quella che potremmo definire la tesi). Quando però, con una capriola dialettica degna di un tuffatore olimpionico, il discorso prese la piega opposta con altrettanta convinzione (chiamiamola antitesi… Hegel non se ne avrà a male n.d.r.) i romani, sentendosi presi in giro, cominciarono a lanciar loro addosso sassi e a prenderli a legnate. I due si salvarono la vita scappando come lepri e senza capire cosa fosse davvero successo. Salparono quindi con la prima nave in partenza, per fare ritorno in Grecia terrorizzati e smarriti. Da allora, la reputazione della retorica e della filosofia (ed in subordine dei retori e dei filosofi) nel nostro paese non è più riuscita a recuperare posizioni, tanto che oggi frasi come: Non fare il sofistico! Oppure: smettila di filosofeggiare e vieni ad aiutarmi, sono tra le più gettonate ad ogni latitudine e presso ogni generazione.
Se invece quei due sprovveduti avessero atteso almeno un altro secolo prima di improvvisare la loro sceneggiata oggi, noi italiani, oltre ad apprezzare il valore immateriale delle idee e la forza del pensiero (specie se partorito in autonomia), avremmo anche gli strumenti cognitivi e culturali per non farci prendere in giro o peggio, per non farci plagiare.
Sappiate allora che questo contributo prende spunto da un articolo de Il Sole 24 Ore (un quotidiano serissimo e autorevole quindi, non un bollettino del dopolavoro ferroviario) nel quale, qualche giorno, fa si è esercitato con una classica antilogia da manuale. E lo ha fatto con una spudoratezza ormai consolidata di questi tempi, ma che invece dovrebbe indignarci più che lasciarci indifferenti. Il motivo per cui scrivo tutto questo è proprio per sollecitarvi a non sopportare sempre tutto da tutti, soprattutto per il motivo che questa strategia, ormai applicata quotidianamente e più volte al giorno è devastante per la nostra psicologia e debilitante per le nostre capacità cognitive. Ovvero esattamente l’obiettivo che avrebbe qualcuno se volesse farci fare qualcosa che, se fossimo lucidi, mai accetteremmo di fare.
L’articolo riporta le dichiarazioni virgolettate di Sergio Abrignani, il quale è un componente del famigerato CTS il cui lavoro è ancora oggi segretato, nonostante la corte di Cassazione abbia intimato prima Conte e poi Speranza a pubblicarne gli atti. Bene, la sua dichiarazione è la seguente: “Il virus ormai è più simile ad una influenza… lo stiamo addomesticando ed oggi è molto diverso dal virus pandemico che abbiamo conosciuto nel 2020. Fin qui tutto bene, buone notizie! Poi però ecco la giravolta degna di quei due soggetti che hanno rischiato la lapidazione al Foro (all’epoca i romani erano gente seria):“E’ quindi essenziale procedere a tappe forzate con la vaccinazione ecc. ecc. … la manfrina la conoscete”.
Che siate favorevoli o meno ai vaccini non conta! L’allarme che desidero lanciare è a proposito della manipolazione di massa, la quale viene attuata in dosi massicce e senza scrupoli. E dubito tutto questo sia esclusivamente per il nostro bene. Se così fosse, se questa fosse davvero la verità, non servirebbe instillare la paura, somministrare l’antilogia, applicare il neuromarketing o l’economia comportamentale. La verità è autoevidente (apodittica direbbero quelli bravi).